Isaia di Gerusalemme
Appello alla
conversione: il canto della vigna (5,1-7)
Perché essa mi ha dato solo uva selvatica e non l’uva buona che io mi aspettavo? Ecco quel che farò alla mia vigna: le toglierò la siepe d’intorno, abbatterò il muro di cinta, la farò diventare un pascolo, un ritrovo per animali selvatici. La ridurrò terreno incolto: nessuno verrà più né a zappare né a potare, vi cresceranno soltanto rovi e spine. Dirò alle nuvole di non dare la pioggia”.
Anche il Signore dell’universo ha una vigna: Israele. Questa piantagione da lui preferita è il popolo di Giuda. Dio si aspettava giustizia, vi trovò invece assassini e violenze; chiedeva fedeltà, udì solamente le grida degli sfruttati.
Questo breve poemetto, sotto forma di parabola, è considerato una delle pagine poetiche più alte del Primo Testamento. E’ un canto del lavoro che si trasforma in una canzone d’amore, ricalcata sulla simbologia nuziale. L’amara conclusione della parabola diventa un giudizio per il tradimento della sposa-Israele, che produce ingiustizie e violenze invece di giustizia e fedeltà. La simbologia della vigna e quella nuziale saranno riprese più volte dai profeti posteriori (vedi Os 2-3; 10,1; Is 27,2-11; 49,14-21; 61,10-62,5; Ger 2,21; 12,10; Ez 19,10-14; Cantico dei Cantici; Sal 80, 9-19).
Nel Nuovo Testamento Gesù è presentato come lo sposo e la Chiesa come la sposa (Mt 9,15) e ritorna più volte anche l’immagine della vite e dei tralci e della vigna affidata ai vignaioli (Mt 21,33-43; Gv 15,1-7).
Il canto della vigna è costruito con quattro scene:
La cura appassionata del contadino: è una scena ispirata da perizia, passione, amore e grande fiducia. C’è un forte investimento economico, umano, affettivo, culturale e di aspettativa personale. Il finale però è amaro: i frutti non sono quelli sperati (bei grappoli), cioè uno stile di vita giusto, ma azioni ingiuste e violenza verso i deboli (uva marcia).
Lamento di un innamorato deluso: è una verifica sulle proprie scelte per cercare di capire il perché di quella situazione: di chi è la colpa? Perché è successo questo? Il profeta invita gli ascoltatori a coinvolgersi e a giudicare i fatti (vedi Mic 6,3-4).
L’abbandono della vigna: il giudizio espresso dal contadino, condiviso dal popolo che vede i fatti, è di condanna verso la vigna. La punizione si concretizza nell’abbandono: lasciata senza protezione, senza cure e senza più amore, la vigna si trasforma in un deserto, diventa un terreno incolto dove regnano il caos e la violenza. E’ la sorte che tocca a ogni società cinica e arrogante che disprezza Dio e la sua legge: lasciata a se stessa diventa sempre più sterile e degradata, covo di ladri e ricettacolo di briganti.
L’applicazione della parabola a Israele: gli ascoltatori, coinvolti prima a fare da giudici, si ritrovano ora ad essere gli accusati, chiamati a verificare le loro scelte di vita. Ancora una volta la fede è legata non al culto, ma alla giustizia e al rapporto con i poveri. Si ama Dio, lo sposo, amando i suoi figli, gli uomini. Questi sono i frutti di giustizia che Dio, l’amante contadino, si aspetta dalla sua piantagione preferita, la comunità dei credenti in lui. Sono i frutti che Gesù ha chiesto di produrre anche alla Chiesa, nuova vigna del Signore.
(DON SERGIO CARRARINI)
(continua)